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sabato 20 aprile 2013

Bestie di Satana: testo del rigetto dell'istanza di revisione

N. 372/13 Reg. Gen.


CORTE D’APPELLO DI BRESCIA
Sezione Seconda Penale


La Corte di appello di Brescia, seconda sezione penale, nelle persone dei magistrati:

dr. Enzo Platè – Presidente
dr. Massimo Vacchiano – Consigliere
dr. Antonio Minervini – Consigliere estensore

riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Sulla istanza depositata il 6.2.2013 proposta dall’avv. Paolo Franceschetti del foro di Viterbo in favore del proprio assistito Paolo Leoni con la quale si chiedeva la revisione della sentenza n. 1/2006 della Corte di Assise di Busto Arsizio in data 31.1.2006 parzialmente riformata dalla sentenza 21/2007 della Corte d’assise di Appello di Milano in data 8/15 maggio 2007 con la quale Paolo Leoni era condannato alla pena dell’ergastolo in relazione ai reati di omicidio aggravato ai danni di Marino Chiara e Tollis Fabio, di occultamento di cadavere, nonché di tentato omicidio aggravato ai danni di Tollis Fabio e Marino Chiara avvenuto nella notte tra il 31.12.1997 e il 1.1.1998 ed ulteriore tentato omicidio aggravato ai danni di Marino Chiara avvenuto nell’autunno/inverno 1997.

OSSERVA

Con istanza depositata il 6.2.2013 il difensore di Paolo Leoni chiedeva la revisione della sentenza sopra indicata.
In particolare nell’istanza da un lato si evidenziavano nuovi elementi emersi: la pubblicazione di un libro da parte di Mario Maccione nel quale si raccontavano tutte le vicende fornendo una versione diversa da quella raccontata in Tribunale, le accuse dimostratesi infondate mosse da Volpe Andrea nei confronti del Leoni in altri procedimenti, la inverosimiglianza del racconto dei tre dichiaranti (Volpe, Maccione e Guerrieri) alla luce delle condizioni meteorologiche, dello stato dei luoghi e dei ritrovamenti nella buca.
Oltre a ciò la difesa lamentava lacune e anomalie istruttorie che, fra l’altro, convergevano sulla inattendibilità delle versioni dei dichiaranti.
La difesa allegava all’istanza alcuni documenti in formato cartaceo nonché una pen-drive all’interno della quale si asseriva vi fossero altri documenti menzionati nell’istanza.
In verità, inserendo la pen drive nel computer in dotazione dell’ufficio, si scopre che essa contiene delle cartelle denominate a) perizia marino tollis; b) rapporto meteo dei giorni dello scavo; c) foto bosco somma lombardo e buca; d) sentenza di primo grado; e) sentenza secondo grado; f) Testimonianza Patrizia Silvestri; g) sentenza Antonino Grasta (copia); h) Guerrieri esame; i) Maccione esame e interrogatori; l) Volpe esame e interrogatori; m) Volpe interrogatorio morte di Andrea Ballarin. Tutte le cartelle, ad eccezione di quelle e) e l) risultano vuote non contenendo alcun file. Non è possibile aprire la cartella i) comparendo un messaggio che avverte che la cartella è danneggiata/illeggibile. Quanto alla cartella e) essa contiene tre file in formato pdf la cui denominazione fa riferimento alla sentenza di appello indicando le tre parti da cui è composta ma non è stato possibile aprire nessuno di tali files in quanto, anche qui, compare un messaggio che indica i file come non supportati o danneggiati.
Ne consegue che a disposizione della Corte è stata prodotta solo la documentazione cartaceo costituita dalle sentenze di primo e secondo grado, dal libro pubblicato da Mario Maccione, dalla perizia Marino-Tollis, dal Bollettino meteo, dalle Foto e dall’interrogatorio reso da Andrea Volpe il 19.7.2004.
Ciò premesso va verificato se gli elementi dedotti abbiano l’attitudine a scardinare il quadro probatorio ed a far dichiarare l’assoluzione del Leoni.

Cominciando dal libro scritto da Maccione (al riguardo va rilevato che il libro risulta a cura di Stefano Zurlo ma nessuna precisazione vi è sul ruolo avuto da quest’ultimo) va rilevato che nessun affidamento può riporsi sulla versione dei fatti in esso descritta.
A parte la circostanza che si tratta di un’opera letteraria va rilevato che già nella sentenza di primo grado si evidenziava che le dichiarazioni di Maccione, in ordine alla consapevolezza da parte di Fabio Tollis e Chiara Marino del destino che li attendeva, fosse sul punto inattendibile e più avanti il Tribunale osserva: occorre ammettere che egli ha sopraffatto ed ucciso brutalmente un amico senza disporre del seppur minimo motivo. E’ un peso questo che la coscienza di Maccione non riesce a tollerare, il confronto con la persona e le azioni di allora gli appare insopportabile. Egli cerca una via di fuga da un rimorso insostenibile e lo fa forzandosi a credere ciò che non è. Nel libro tale atteggiamento è ancor più palese se si consideri che a fronte delle affermazioni rese in dibattimento di aver scientemente colpito Fabio Tollis con tante martellate sia pur spinto dalla paura che gli altri complici lo uccidessero, nel libro parla invece di una reazione ad una temuta aggressione laddove che lo aveva indotto a colpire all’impazzata in direzione di dove sentiva provenire voci poi perdendo conoscenza e risvegliandosi dopo che le due vittime erano già state colpite.
Appare evidente che l’intento del libro è quello di defilare per quanto è possibile la posizione del suo autore dalle azioni delittuose commesse e, quindi, proprio per tal motivo il contenuto del libro non può avere la valenza che gli vorrebbe attribuire la difesa non potendo essere utilizzato per ritenere inattendibili le versioni dei dichiaranti rese in dibattimento.
Nessuna possibilità vi è, quindi, di incrinare il quadro probatorio sulla base di elementi di tal fatta.

Venendo, poi, ad esaminare l’altro elemento costituito dalle false dichiarazioni rese da Volpe in altri procedimenti ai danni di Leoni va rilevato che l’unica produzione al riguardo risulta costituita dall’interrogatorio del Volpe nel quale accusava sé, il Sapone e il Leoni dell’omicidio Ballarin il cui corpo, come si ricava dal verbale, fu ritrovato impiccato nel cortile di una scuola nei pressi della casa del Volpe.
Sul punto la difesa afferma, senza produrre alcunché, che il Volpe avrebbe reso dichiarazioni accusatorie in altri procedimenti nei confronti del Leoni, e che tali procedimenti sono stati archiviati.
Peraltro nella stessa istanza difensiva non si indica in che cosa sarebbero consistite le false dichiarazioni del Volpe (l’archiviazione di un procedimento non significa, automaticamente, che le dichiarazioni accusatorie rese siano false potendo, semplicemente, difettare i riscontri a tali affermazioni) ad eccezione delle vicende riguardanti la morte del Ballarin e Grasta.
Per queste vicende la difesa riferisce che il Volpe era stato indagato per calunnia e false dichiarazioni al pm.
Con riferimento alla vicenda Grasta, peraltro, la stessa difesa informa che il Volpe fu assolto, nel procedimento per calunnia, in quanto le sue dichiarazioni erano frutto di circostanze apprese da altri e che lui riteneva di aver detto il vero.
Appare evidente, quindi, che anche tale elemento non ha valenza da scardinare il quadro probatorio del processo in esame.
Quanto alla vicenda Ballarin sempre la difesa riferisce che non vi fu rinvio a giudizio del Volpe per false dichiarazioni al PM in quanto il procedimento fu archiviato per prescrizione.
Peraltro, sempre secondo quanto si apprende dall’istanza di revisione, il Volpe avrebbe ammesso di aver detto il falso.
In verità già dall’interrogatorio prodotto dalla difesa si evince che le dichiarazioni rese in quella sede dal Volpe non brillavano per attendibilità posto che, nello stesso interrogatorio, gli inquirenti gli contestarono circostanze che il Volpe non riuscì a spiegare.
Può, quindi, senz’altro convenirsi che in quella vicenda il Volpe stava mentendo e le motivazioni di tale menzogna possono probabilmente ricavarsi da quanto trascritto nella fase finale dell’interrogatorio allorché il Volpe si lamenta del trattamento penitenziario riservatogli.
In altri termini in quel procedimento il Volpe aveva, probabilmente, tentato di ottenere un trattamento migliore fornendo agli inquirenti una falsa pista in ordine alla morte del Ballarin.
Le argomentazioni difensive, peraltro, basate sulla circostanza che chi ha mentito una volta accusando falsamente il proprio assistito può aver mentito anche in occasione del procedimento che ne occupa, se vere in linea ipotetica, nel caso concreto non possono essere condivisione.
Appare evidente, infatti, la differenza tra i due casi. Nel caso Ballarin già le prime dichiarazioni contrastavano con gli elementi in possesso degli inquirenti e nessun riscontro fu trovato in relazione alle dichiarazioni del Volpe. Nel processo in esame, invece, il Volpe non solo fornisce una versione del tutto credibile ma fa ritrovare i corpi e, soprattutto, viene riscontrato dagli elementi posti in luce in sentenza fra cui le dichiarazioni degli altri correi anche loro confessi.
I rilievi difensivi, quindi, non appaiono assolutamente in grado di aver attitudine a scardinare l’impianto accusatorio e, del resto, sul punto basti ricordare quanto già statuito, in ordine alle dichiarazioni inattendibili rese in altro procedimento dalla Suprema Corte: per tutte si veda Cass. 30.12.2009 n. 49959 che recita: Il giudizio di inattendibilità di un testimone, reso in un procedimento diverso da quello in cui è intervenuta, per fatti analoghi, una sentenza irrevocabile di condanna, non costituisce una prova nuova tale da condurre all’ammissibilità di una richiesta di revisione.

Oltre a quelli esaminati, che sarebbero elementi nuovi rispetto al processo, la difesa prospetta la tesi di una ricostruzione dei fatti lontana dalla realtà con conseguente inattendibilità dei dichiaranti, basata su elementi già presenti nel processo che, però, non sarebbero stati valutati.
La principale tesi difensiva riguarda l’impossibilità che i fatti si siano svolti nella maniera raccontata dai dichiaranti in quanto non sarebbe stato possibile scavare la buca nella maniera raccontata dagli stessi e prospettando una serie di elementi che contraddirebbero il racconto degli accusanti del Leoni.
Il principale rilievo difensivo sul punto riguarda l’impossibilità di scavare una buca alta due metri in vicinanza di alberi di grossa taglia in ragione dell’ostacolo costituito dalle radici non rimovibili con pala e picconi.
La difesa, peraltro, dimentica che tale difficoltà non risulta del tutto sconosciuta nella sentenza di primo grado. Infatti a pag. 270, sono riportate le dichiarazioni rese dal Volpe in incidente probatorio: siamo arrivati sul posto con pale e picconi che aveva preso Bontade a casa sua e con dei secchi abbiamo cominciato... a scavare questa buca qua. All’inizio comunque si è rivelata difficoltosa per delle radici che c’erano praticamente sotto terra. Così abbiamo deciso di lasciare lì e riprendere la settimana dopo con delle attrezzature più idonee... la prima notte siamo stati lì fino alle 3, le 4 del mattino dalla una, anche prima. Il venerdì dopo siamo stati lì tutta la notte praticamente e siamo andati via la mattina sempre verso le 4, le 5.
Come appare evidente le osservazioni difensive in ordine alla responsabilità di scavare una buca con pale e picconi per la presenza delle radici non solo non vengono smentite dal Volpe che rappresenta che la prima volta per tale motivo non si è riusciti ad andare avanti ma, addirittura, confermano il racconto del Volpe stesso che, difatti, riferisce che si era tornati sul posto con attrezzatura più idonea.
Le osservazioni difensive, quindi, sono del tutto inidonee a porre in crisi il quadro probatorio, anzi, addirittura lo rafforzano confermando le affermazioni del Volpe.
Anche le osservazioni che non sarebbero bastate poche ore per scavare la buca non pongono in crisi il racconto avendo il Volpe dichiarato che fu impiegata l’intera notte né si vede quale impedimento allo scavo possa essere costituito dalla circostanza che i soggetti coinvolti nella vicenda facessero uso di sostanze stupefacenti essendo spesso tali sostanze, ed in particolare la cocaina, utilizzate proprio per affrontare compiti che richiedono maggiori risorse personali.
Da ultimo la difesa prospetta l’impossibilità di scavare la buca in presenza di pioggia.
Al riguardo la difesa allega quanto scaricato da un sito in ordine ai dati registrati dalla stazione meteo di Milano Malpensa per il territorio del comune di Somma Lombardo che riguardano il 16 e il 17 gennaio 1998 e che indicano che il 16 gennaio vi era pioggia e nebbia mentre il 17 solo nebbia.
Il bollettino non specifica in quale arco della giornata si erano verificati i fenomeni atmosferici sopra descritti né con quale intensità abbia piovuto (per il giorno 16 laddove sono indicati i mm di pioggia si dichiara la indisponibilità del dato mentre per il 17 gennaio, laddove il bollettino non indica pioggia, si riporta il dato di 2 mm corrispondente ad una pioggia debole).
Orbene non pare che tali dati, indicanti una pioggia di modesta entità, per altro senza sapere in che periodo della giornata del 16 gennaio il fenomeno si sia verificato, possa impedire lo scavo di una buca. Potrà, tutt’al più, creare qualche difficoltà, ma non certo impedire lo scavo e, quindi, rendere il racconto concorde dei dichiaranti in ordine allo scavo (anche se vi sono divergenze in ordine ai giorni in cui lo scavo è avvenuto sostenendo il Guerrieri che ci si era recati una sola volta) improbabile o contrastante con la realtà.
Sempre l’argomento pioggia viene utilizzato per connotare di inverosimiglianza il racconto nella parte in cui i dichiaranti affermano che il Sapone sarebbe sceso nella buca per finire le due vittime, tale elemento viene collegato, altresì, all’altezza della buca, quasi due metri.
Al riguardo va precisato che dalla perizia in atti risulta che la buca era profonda, rispetto al piano di campagna, 1,70 m (la lunghezza e la larghezza erano rispettivamente di m 1,80 e di m 1). Peraltro, sempre dalla perizia, si ricava che la parte superficiale del terreno era ricoperta da humus: Si è proceduto in primo luogo allo scortico del terreno. E’ stato cioè asportato l’humus, per uno spesso massimo di cm 20 circa, corrispondente al naturale accumulo di fogliante, arbusti e radici mescolati a terriccio marrone scuro.
Tale annotazione, indicata per le operazioni iniziate nella zona 1, non è stata riportata pari pari allorché si è dato atto delle operazioni avvenute nelle altre zone limitandosi a precisare, come per la zona 5 (quella dove verranno ritrovati i cadaveri) che era avvenuto lo scortico del terreno.
Da tali elementi appare evidente desumere che se la buca era profonda 1,70 m dal piano di campagna e che su di essa si era formato l’humus per una profondità di circa 20 cm l’originaria profondità della buca era di 1,50 m.
Non si vede, quindi, quale insuperabile difficoltà potesse incontrare il Sapone, soggetto di giovane età e che non risulta particolarmente basso, nel calarsi nella buca e nel riuscirne, sia pur se le pareti fossero state umide per la debole pioggia.
Anche tali elementi non appaiono, all’evidenza, aver attitudine a porre in crisi il quadro probatorio che ha condotto alla condanna del Leoni.
Altro elemento di inverisimiglianza del racconto dei dichiaranti sarebbe l’impossibilità di trovare la buca in un bosco intricato ed in piena notte, nella nebbia, per giunta ponendo le due vittime in prima fila nel dirigersi verso il luogo dell’omicidio senza che queste sapessero la strada.
Orbene, per quanto intricato possa essere il bosco in cui è avvenuto l’omicidio, va rilevato che la buca, come risulta dalla perizia in atti, era distante non più di 15 metri dallo spiazzo dove erano parcheggiate le autovetture. Infatti l’indicazione data dal Volpe, e rivelatosi esatta, era che dal punto in cui era avvenuto l’omicidio era possibile vedere la vettura parcheggiata.
Non si trattava, quindi, di inoltrarsi in un bosco intricato ma, semplicemente, di percorrere pochi metri dal luogo del parcheggio, per giungere alla buca, circostanza che rende facilmente raggiungibile il luogo anche in presenza di nebbia (della cui intensità e della cui presenza al momento dell’omicidio nulla è dato sapere).
Quanto alla circostanza, riferita solo dal Maccione, che Fabio e Chiara erano stati dotati di torce, in ragione dell’oscurità, e posti alla guida del drappello non si vede come essa possa far ritenere inverosimile il racconto posto che ai due non era certo stato detto che dovevano essere uccisi (a meno che non si voglia condividere la versione del Maccione già tacciata di inattendibilità sul punto dal Tribunale) e che, comunque, occorreva percorrere pochi metri per trovarsi nel pressi della buca. Pertanto bastava indicare la direzione verso la quale i due dovevano dirigersi. In altri termini dovendosi percorrere pochi metri non vi era nessuna possibilità di non trovare il posto dove era la buca essendo il gruppo munito di torce e distando la buca pochi metri dallo spiazzo dove era parcheggiata la vettura con quale il gruppo era giunto.
Anche tali argomentazioni appaiono palesemente inidonee ad aver attitudine a scalfire il quadro probatorio ritenuto in sentenza.

Del pari priva di tale valenza ha il ritrovamento delle sigarette durante lo scavo della buca. Sul punto la difesa afferma che essendo notorio che i filtri delle sigarette si decompongano nel giro di due anni era impossibile ritrovarli all’interno della buca da ciò deducendo che i cadaveri fossero stati ivi collocati tempo dopo l’omicidio, ciò scardinando completamente la versione accusatoria.
In realtà in ordine alla circostanza che le sigarette si decompongano nel giro di due anni nella prova è stata fornita e, comunque, consultando internet si trovano le più svariate affermazioni sul punto. Da ultimo, consultando un sito molto visitato, quello di Wikipedia, si scopre che per l’estensore della voce “cicca” i mozziconi di sigaretta si degraderebbero da sei mesi a 10 anni a seconda delle modalità di conservazione.
L’affermazione non appare illogica posto che appare abbastanza verosimile che i mozziconi di sigaretta si decompongano in tempo differente a seconda delle condizioni nelle quali si trovino.
Appare, infatti, evidente che una cosa è essere lasciati per terra alle intemperie ed una cosa è essere custoditi sotto alcuni metri di terra.
Va, quindi, ritenuto che l’argomentazione difensiva non essendo provata e, per giunta, essendovi elementi che la contraddicono non ha attitudine ad intaccare il quadro probatorio della sentenza di cui si chiede la revisione.

Le altre argomentazioni, relative alla impossibilità di introdurre un riccio nella bocca delle vittime agonizzanti o nella inverosimiglianza di aver versato ammoniaca sulla fossa ricoperta, non meritano maggiore attenzione.
Quanto alla prima non è assolutamente vero che basti prendere un riccio di castagna per pungersi al punto da riportare ferite visibili ictu oculi.
Basta prendere il riccio con attenzione, si ricordi poi che il Sapone aveva i guanti in lattice, per evitare le conseguenze prospettate dalla difesa.
Quanto, poi, all’illogicità di versare dell’ammoniaca sulla fossa contenente i cadaveri ottenendo l’ammoniaca effetto inverso a quello voluto va rilevato che il fatto che si sia errato nell’utilizzare la sostanza ritenendo che avesse altri effetti non significa che la condotta non sia stata posta in essere.
In altre parole se io errando, per mia ignoranza, pongo in essere un’attività che, poi, in realtà sortisce effetto contrario a quello voluto non significa che io quella attività non la abbia posta in essere soprattutto se, alla versione del Volpe di aver compiuto i gesti, si aggiunga il ritrovamento, sul luogo indicato, di contenitori della sostanza (sul punto vedasi perizia in atti in ordine al ritrovamento di contenitori di ammoniaca).
Si tratta, anche in questo caso, di elementi che non hanno alcuna attitudine ad intaccare il quadro probatorio su cui si basa la sentenza e, men che mai, a far ritenere inattendibile la versione dei dichiaranti.

Anche le osservazioni difensive in ordine alla circostanza che si trattava di un bosco frequentato da un numero notevole di persone e che non fosse possibile che nessuno si fosse accorto della presenza della buca appare elemento inidoneo a scalfire il quadro probatorio.
Infatti nessuna prova è stata fornita sulla circostanza che, in pieno inverno, e per giunta in giornate di pioggia, sia pur di modesta entità, il bosco sia frequentato apparendo, peraltro, dalla sentenza (si confronti la parte dove riporta le dichiarazioni del Volpe) che vi fu un sopralluogo proprio per scegliere il posto dove scavare la buca e ciò implica che fu scelto un posto poco frequentato.

Vanno, poi, esaminate le considerazioni difensive in ordine alla circostanza che gli esecutori dell’omicidio, sporchi di sangue e di fango, non potevano passare inosservati ai loro genitori, ciò costituendo elemento di inverosimiglianza del racconto soprattutto in considerazione della circostanza che il Maccione, nel suo libro, aveva sostenuto che l’indomani del fatto si era svegliato con il giubbotto pulito limitandosi a cambiare solo i pantaloni, ciò implicando che fossero rimaste pulite le scarpe, il giubbotto, la maglietta e il corpo.
Orbene si è già rilevato che il racconto di Maccione nel libro è inattendibile in quanto mosso dall’intento di attenuare il più possibile la responsabilità dell’autore mostrandolo agente inconsapevole del delitto, peraltro, almeno nella pagine in cui si parla del delitto (da 88 in poi) non vi è alcuna menzione in ordine alla circostanza che i vestiti erano puliti ma semmai che il giubbotto era intatto (in quanto, a dire del Maccione, gli avevano raccontato che Chiara voleva accoltellarlo). Sempre nel libro il Maccione sostiene che la notte l’ha passata a casa del Sapone, come risulta del resto dalla sentenza, presentandosi a casa propria solo il giorno dopo.
Non si vedono, quindi, anche nel libro e su questo punto elementi che contrastino con il quadro probatorio in atti.
Peraltro risulta dalla sentenza che il punto non è stato investigato. Nessuna domanda è riportata in sentenza in ordine a come avessero fatto i due dichiaranti a pulirsi. Il Volpe dichiara di essersi sporcato di sangue e di aver accompagnato il Sapone e il Maccione a casa del primo e di aver fatto ritorno a casa.
Nessun accenno, in sentenza, vi è sulle modalità con cui i tre autori dell’omicidio si fossero puliti.
Peraltro si ricordi che comunque i tre dovevano giustificare le ferite del Maccione ed avevano raccontato di essersi fermati di notte a cambiare un pneumatico, operazione nella quale il Maccione si sarebbe ferito. Può anche ipotizzarsi, ma si tratta di mera ipotesi, che la stessa operazione poteva essere utilizzata per giustificare il fatto di essere sporchi di fango e anche di sangue, seppur in modestissime quantità per gli altri due.
Comunque, al di là delle ipotesi non si può andare.

A fronte di questo dato fattuale la prospettazione difensiva non fornisce una prova dell’inverosimiglianza del racconto ma, semmai, un elemento non investigato che andrebbe chiarito.
Siamo, però, ben lungi dalla scoperta di nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrino che il condannato deve essere prosciolto.
Si tratta solo di un elemento di dubbio che non può giustificare una richiesta di revisione così come non possono giustificare tale richiesta le lamentate lacune investigative e processuali: le mancate indagini sull’omicidio sino al 2004, il mancato esame, a distanza di anni, del giubbotto di Nicola Sapone, i mancati sviluppi investigativi sulle dichiarazioni della Silvestri, il mancato confronto fra Leoni ed i dichiaranti, il mancato svolgimento di perizie sulla imputabilità dei confessi e così via.
Anche la richiesta di ispezione dei luoghi rientra nell’ambito di tale quadro.
In altri termini, lungi dal fornire elementi di prova atti a scardinare il quadro probatorio, ci si limita a instillare dubbi e si chiede di effettuare prove alla ricerca, solo ipotetica, di elementi utili alla tesi difensiva della non credibilità dei dichiaranti.
Ne consegue l’assoluta infondatezza della richiesta difensiva che, pertanto, va dichiarata inammissibile.
Stante l’inammissibilità dell’istanza va respinta la richiesta di liberazione del Leoni ex art. 635 c.p.p.

P.Q.M.

dichiara inammissibile la richiesta di revisione di cui in epigrafe e respinge la richiesta di liberazione di Paolo Leoni ex art. 635 c.p.p..
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza nonché per le comunicazioni e le notificazioni alle parti del presente provvedimento.
Così deciso in camera di consiglio in data 29 marzo 2013

IL PRESIDENTE
Enzo Platè

IL CONSIGLIERE ESTENSORE
Antonio Minervini

IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Bruna Brighenti


– depositato in Cancelleria 29.3.2013 –






Ministero della Giustizia
DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
– Polizia Penitenziaria San Remo –
Ufficio Matricola


RELATA DI NOTIFICA


L’anno 2013, addì 08 del mese di Aprile alle ore 09:20, noi sottoscritti Ufficiali ed Agenti di P.G., abbiamo notificato al detenuto Leoni Paolo nato a Milano il 20/02/77, il retroscritto provvedimento emesso dalla Corte di Appello di Brescia, rilasciandone una copia in mani allo stesso.//
Fatto, letto, confermato e sottoscritto in data, ora e luogo di cui sopra.///


L’Agente di Polizia Giudiziaria

L’Ufficiale di Polizia Giudiziaria

Il Vice Comandante di Reparto
V. Commissario Nadia Giordano




2 commenti:

  1. io non sono un giudice e non ne so troppo sulla vicenda, quindi premetto che la mia é una semplice opinione di persona non puntigliosamentei nformata sul caso, ma letto il testo del rigetto dell´istanza di revisione, il tutto non fa una piega!

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  2. Ll problema è alla radice.
    Le sentenze passate, al di là che dicano verità o bugie, sono schiaccianti e fatte in modo di non lasciare alcuno scampo agli imputati... purtroppo.

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